Poesia

IMPERFEZIONI MOLESTE. E OLTRE

Il Prato
2008
160 pagine

Angelo Andreotti

 

Introduzione a Imperfezioni moleste. E oltre, il Prato, Padova 2008

E oltre…

c’è un luogo in cui è impossibile stare, ma che qualcuno è indotto ad attraversare. L’attraversamento è breve, a volte appena il tempo di una poesia. Però in quel luogo il tempo imbroglia perché non separa passato presente futuro, scombina l’ordine degli eventi e li impasta con inesorabile indifferenza in un unico interminabile istante. Lì, in quel luogo, il tempo trattiene dentro argini invalicabili il flusso della vita, e trattiene per sé il sollievo di un respiro, che non viene, chiuso nell’aria che s’allarga irraggiungibile a un filo dalle labbra. È un tempo che non scandisce attimi, ma per qualcuno squarci nella carne.

Al di qua di quel luogo percepiamo la musicalità dei versi, l’incommensurabile estensione di un pensiero misurato dalla metrica, lo scorrere delle parole a inseguire significati e sensazioni, a figurare un’emozione, a cercare un moto di condivisione che voglia prendersi cura di un turbamento sospeso tra realtà e finzione, che resta in ogni caso vero perché concretamente sentito; ma dentro a quel luogo soggiorna una presenza strappata dal senso degli eventi, eppure denudata dai graffi di un’esistenza scarnificata per eccessiva partecipazione. Vi soggiorna a tratti, per quel tempo interminabilmente breve che è il concepimento di ogni autentico poetare, ma quando non vi soggiorna è lì comunque che guarda, dove nulla accade ma dal quale ogni accadimento radicato a un senso si riversa.

La poesia è un dono, ma non per chi la pratica. La poesia è un dono per chi resta al di qua del limite, per chi ne attende la raccolta da quel luogo impossibile che è la prossimità all’anima, dove più ci si avvicina e più le cose si confondono, ricordi e speranza, gioia e dolore, bene e male, buono e cattivo, dove i contrari perdono di direzione e di distinzione, rasenti come sono alla loro origine. Dove c’è cominciamento c’è anche somiglianza degli opposti, o forse c’è soltanto che in ogni inizio non c’è ancora tempo per il giudizio.

I versi di Nina raccontano un attraversamento di quel luogo. Quasi di corsa, in apnea. Lei sobbalza a ogni incontro. Disarmata e nuda si lascia percuotere, strattonare, scuotere, subisce la violenza dell’indistinto, ma qualche volta si ribella cascando parole le une sulle altre, che a lama penetrino la massa informe di quel mondo e ne sventrino la durezza, e qualche altra volta si difende armando la ragione che lì, in quel luogo, può soltanto limitare danni che a forza saranno subiti.

A piene mani afferra ciò che incontra, e lo porta al di qua, dove ancora ansimante trova il tempo grazie al quale può dare ordine a quel magma di sensazioni e di emozioni, lacerante e insostenibile. L’ordine si chiama poesia, un esercizio con il quale è possibile ricomporre quell’informe in una forma che ci possa riguardare, che possa dialogare ed essere compresa da chi, al di qua del limite, è rimasto ad aspettare una voce che riesca a raccontargli l’insostenibile prossimità dell’anima. Perché la poesia è anche conoscenza, è il mezzo con cui è possibile avvicinarsi allo smarrimento di sé stessi, per poi tornare pieni di quel vuoto che ci consente di trovare spazio per una vita che scorra verso un senso 

...e oltre

C’è un punto, là, all’infinito,

che ci toccheremo

e le mani allora potranno parlarsi

là dove si incontrano le parallele dell’universo

e piangono di vergogna i maliziosi e gli ignoranti.